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Ed egli a me: Dunque d’un volto noto
  Così l’antica effigie a te si vela,
  447Che a me la chiedi, qual ti fosse ignoto?
Non raffiguri più Luisa? Ah! svela
  Al tuo pensiero con memoria viva
  450Le forme sue, che il tuo stupor gli cela.
Ai caldi voti suoi fia, che s’ascriva
  Quanta su questo suol grazia diffonda
  453Colei, che il tutto crea, nudre ed avviva
Essa lei guida alla Parmense sponda,
  Perchè versando su i lugubri affanni
  456Più larghi i doni suoi morte confonda.
Lieto allora gridai: Tu non m’inganni,
  O avventurata Visione. È dessa
  459La Donna forte, che i terreni danni
Cangiò in quel pien goder, di cui la stessa
  Divinitade è paga. Oh quanta pace
  462Colma d’immenso amor traluce in essa!
Il cocchio dietro l’orme sue seguace
  Presso noi arrestossi, ove finìa
  465Nel bosco il prato, che alidito giace;
E Provvidenza schiuse allor la via
  Ai sovrumani accenti; e al suono eterno
  468Rifiorì l’erba, che smorta languìa.
Poiché mio, disse, è il regno ed il governo
  Delle create cose, io veglio sopra
  471Quell’ordin, che le guida al fin superno,
Per cui la gloria mia somma si scopra;
  Ch’io nacqui pria che il cielo e il tempo fosse
  474Da ragion creatrice, e attiva in opra:
Io riempio di me le tenui e grosse
  Parti del tutto, e le conforto, e movo
  477Verso là dove Dio già pria le mosse:

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