< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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E all’alto i lumi da pietà sì tocchi
  Volgea, che mai lassù non fùro affissi
  183Nè più amorosi, né più amabil’occhi.
Tacendo essa, io pur tacqui, o non ardissi,
  O me rendesse muto il mio stupore.
  186Confuso alfin ruppi il silenzio, e dissi:
O mia misera speme, e mio dolore,
  Fra le spolpate nel funereo seggio
  189Ossa tue carche di cotanto orrore,
Amennira, ed è ver ch’io ti riveggio?
  O pur fra i sogni e i simulacri vani
  192Del mio turbato immaginar ondeggio?
Da quali ignoti spazj, e alberghi arcani
  Degli astri, o degli abissi a me tu vieni
  195Tratta di Morte dalle ferree mani?
Ma da qualunque a me sede ti meni
  Sì amico volo, ah! tu soave spiri
  198Grazia, e fra il lutto ancor mi rassereni.
Io già credei, che i caldi miei desiri
  Dal volto tuo per lunga via divisi
  201Nulla più dasser esca ai miei sospiri;
Chè interrogai del cor quegl’indivisi
  Dal dolce palpitar moti, che fùro
  204Vive poi fiamme, ove a penar lo misi,
Né in lui conobbi dell’antico e duro
  Suo nodo orma pur lieve, anzi mel finsi
  207Queto, e in sua libertade appien securo;
E d’inni eletti a coronar m’accinsi
  Altre labbra ed altri occhi, e i novi rai
  210De’ tuoi più vaghi al paragon mi pinsi;
Ma poiché quella, che non rota mai
  L’adunca falce invano, al Mondo tolse
  213Teco il lume, che ogni altro ombrò d’assai,

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