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Dal basso penetrò l’aere più alto;
  E giunto, ove non danno all’aure illese
  114Dai vapor gravi le procelle assalto,
Sovra l’etere puro il petto stese,
  Ed aleggiando fra il meriggio e il polo,
  117Dritta la via verso oríente ei prese.
Confuso io lo seguía; chè un punto solo
  Fu il balenar dell’improvviso aspetto,
  120Il dirmi, vieni, ed il rapirmi a volo.
Nè il riconobbi; chè nell’occhio stretto
  Da troppa luce increspò i nervi stanchi
  123La mia pupilla, e non v’entrò l’obbietto.
Volando ei non m’offría che l’un de’ fianchi,
  Su cui lunga scendea lanosa veste
  126Di neri stami intramischiata a bianchi,
Che folgorava nel sentier celeste
  Sì, che parca di liste luminose
  129Le sue ruvide fila esser conteste.
Dopo molto varcar d’aria ei mi pose
  Presso ad un tempio, che in mirabil piagge,
  132Dove non so, il divin Fabbro compose.
Ivi bench’oltre ogni pensar s’irragge
  Di novitate il non più visto loco;
  135Pur il desío, che a sè l’anima attragge,
S’affisò in lui, che nella faccia il foco
  Scemando ai lampi, onde splendea feconda,
  138Le forme sue svelommi a poco a poco.
La nuda avea del crin testa ritonda,
  Late le ciglia, e di fierezza sgombre,
  141Che la placida fronte alta circonda:
Piene le gote, e di pel raro ingombre,
  Cerulei gli occhi, e a chi li guata attenta
  144Punteggiati apparían di piccol’ ombre:

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