< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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Diedi un largo respiro allor che affiso
  Tenni lo sguardo al racquistato giorno,
  516E al Duce, ch’io temea da me diviso;
Ed Ei, che me stupidamente intorno
  Scorse guatar la florida montagna,
  519Fuggi, gridò, dal lusinghier soggiorno;
Ripassa la palude ima, che bagna
  Questa rupe ai desir folli sì vaga;
  522Ricalca 1’argin fra l’acqua, che stagna;
Chè benché l’Alma tua deggia esser paga
  Dell’orror preso, pur ha il monte crudo
  525Sembianza troppo allettatrice e maga.
Così parlando a me di forze nudo
  Diè lena, e su’l sentier meco il piè mosse
  528Egli, che fu scorta a’ miei passi e scudo.
Quand’io pien del terror, che in me commosse
  L’idea di tanto duol, che fora immenso,
  531S’anche a lui mista Eternità non fosse,
Dissi angoscioso: A vortice sì denso
  D’atroci mali, cui ognor s’aggiunge
  534Nel continuo soffrir peso più intenso,
Non si porrà termin giammai? Mi punge
  Pietà così, che sceso per le gote
  537Largo a innondare il sen pianto mi giunge.
Ed Ei rispose: D’ogni speme vote
  Son le dannate al duolo Alme infelici;
  540E Dio, che tutto può, questo non puote;
Ch’egli giurò perpetuo a’ suoi nemici
  Lutto, e il fe’ noto colla sacra legge,
  543Ed eterne a’ suoi fidi ore felici;
Or, poiché i suoi pensieri immenso regge
  Divo Saper, che immense ornan virtuti,
  546Non mai quel ch’ei pensò tempra, o corregge.

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