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A che t’alzi cotanto, o enfiata polve,
  Se invincibile ognor hai vento al fianco
  318Che ti rispinge a terra, e ti dissolve?
Coi tetri simulacri entraronmi anco
  I tristi carmi al cor, sì ch’io divenni
  321Smarrito e in umiltà pavida bianco,
Finché al termin del ponte infausto venni,
  In cui d’atro scheggion sovra il pendìo
  324Tai rilevate in fuor note rinvenni:
Stolto è pensier, che il gran Figliuol di Dio
  Sen gisse a morte inonorato e lasso:
  327Creder dunque forz’è ch’egli morìo.
Lo strano argomentar scritto in quel sasso
  L’intelletto, che in sé il volgea, confuse
  330Fra maggior notte, e mi sospese il passo.
Ma lo stupor, che a me le labbra chiuse,
  Alla Guida le aprì, che gridò: Segui
  333Il cammin, che la Fede a te dischiuse
Fra gli error tuoi, finché il tuo piede adegui
  L’obbietto suo; chè in breve fia che questo
  336Nuvol d’oscure idee ti si dilegui.
Allora cominciai del colle mesto
  A valicar la tortuosa via
  339Rasante il corso del fiume funesto,
Donde i fioriti margin io scoprìa,
  Su cui vagando in affannoso moto
  342Densa turba il fallace Onor seguìa;
Ma d’acquistarlo il modo erami ignoto,
  Nullo scorgendo in quegli erbosi lidi
  345Obbietto altier dell’ingannevol voto.
Quando levati gli occhi al cielo io vidi
  Corone aurate, e immarcescibil serti,
  348Che librati a diritto esser m’avvidi

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