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Ora queste medesime considerazioni io le pongo sotto gli occhi di lei, signor Marchese, come di uomo principe della repubblica delle lettere e amicissimo mio. Parmi in tal modo venir ragionando con lei e rinovare a me medesimo quel tempo che io la vidi già in Francia e in Inghilterra far tant’onore all’Italia. Con sagace discernimento Ella vi pesava il valore degli uomini scienziati, il differente ingegno delle nazioni, la varia indole delle lingue, quasi un novello Ulisse tra i letterati. E non altrimenti che dalla bocca di lui, venivano dalla sua parole piene di eloquenza e di dottrina, come neve

che senza vento in un bel colle fiocchi.

Queste parti di Europa, dove io mi trovo da qualche tempo, Ella non le ha toccate per ancora. Né già Ella, signor Marchese, vorrà che si dolgano dal non essere state visitate da lei. Un bel campo aprirebbono certamente alle speculazioni del suo ingegno, presentandole in cose moderne il fiore della virtù antica, le lettere addomesticate con l’armi, un sapiente in sedia reale. E nella bocca di lui Ella udirebbe quella lingua, di che io ragiono, prender come novelli spiriti per ispiegar nettamente le cose più difficili e nobilmente dipingere le meno elevate. Vedrebbe i pensieri sortire dalla mente di lui rivestiti delle più vive espressioni, come dissero che Minerva sortì armata di tutto punto dal cervello di Giove.


Berlino, 10 marzo 1750.

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