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Scena Prima. 23

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Cangia, cangia consiglio,
Pazzarella che sei:
Che’l pentirsi da sezzo nulla giova.

Silvia
Quando io dirò, pentita, sospirando

Queste parole, che tu fingi, ed orni,
Come à te piace, torneranno i fiumi
A le lor fonti, e i lupi fuggiranno
Da gli agni, e’l veltro le timide lepri,
Amerà l’orso il mare, e ’l delfin l’alpi.

Dafne
Conosco la ritrosa fanciullezza.

Qual tu sei, tal io fui: così portava
La vita, e ’l volto, e così biondo il crine,
E così vermigliuzza havea la bocca,
E così mista col candor la rosa
Ne le guancie pienotte, e delicate.
Era il mio sommo gusto, (hor me n’avveggio,
Gusto di sciocca) sol tender le reti,
Et invescar le panie, ed aguzzare
Il dardo ad una cote, e spiar l’orme,
E ’l covil de le fere: e, se talhora
Vedea guatarmi da cupido amante,
Chinava gli occhi, rustica, e selvaggia,
Piena di sdegno, e di vergogna, e m’era
Mal grata la mia gratia, e dispiacente,
Quanto di me piaceva altrui: pur come
Fosse mia colpa, e mia onta, e mio scorno
L’esser guardata, amata, e desiata.
Ma, che non puote il tempo? e che non puote,
Servendo, meritando, supplicando,
Fare un fedele, ed importuno amante?
Fui vinta. Io te ’l confesso, e furon l’armi


Del

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