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Scena Seconda. 43

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E tener lor bellezze altrui secrete.
Tu raccogliesti in rete
Le chiome à l’aura sparte.
Tu i dolci atti lascivi
Festi ritrosi, e schivi.
A i detti il fren ponesti, à i passi l’arte.
Opra è tua sola, ò Honore,
Che furto sia quel, che fù don d’Amore.
  E son tuoi fatti egregi
Le pene, e i pianti nostri.
Ma tu, d’Amore, e di Natura donno,
Tu domator de’ Regi,
Che fai trà questi chiostri,
Che la grandezza tua capir non ponno;
Vattene, e turba il sonno
Agl’illustri, e potenti:
Noi qui negletta, e bassa
Turba senza te lassa
Viver ne l’uso de l’antiche genti.
Amiam, ché non hà tregua
Con gli anni humana vita, e si dilegua:
  Amiam, che ’l Sol si muore, e poi rinasce.
A noi sua breve luce
S’asconde, e ’l sonno eterna notte adduce.



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