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Atto II. Scena I 45

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De le palpebre, hor tra minuti rivi
D’un biondo crine, hor dentro le pozzette,
Che forma un dolce riso in bella guancia,
E pur fà tanto grandi, e sì mortali,
E così immedicabili le piaghe.
Ohime, che tutta è piaga, e tutto sangue
Son le viscere mie, e mille spiedi
Hà ne gli occhi di Silvia il crudo Amore,
Crudel Amor, Silvia crudele, ed empia
Più che le selve. Oh come à te confassi
Tal nome: e quanto vide, chi te ’l pose.
Celan le selve, angui, leoni, ed orsi
Dentro il lor verde, e tu dentro al bel petto
Nascondi odio, disdegno, et impietate,
Fere peggior, ch’angui, leoni, et orsi:
Che si placano quei, questi placarsi
Non possono per prego, nè per dono.
Ohime, quando ti porto i fior novelli,
Tu li ricusi, ritrosetta, forse,
Perche fior via più belli hai nel bel volto.
Ohime, quando io ti porgo i vaghi pomi,
Tu li rifiuti, disdegnosa, forse,
Perche pomi più vaghi hai nel bel seno.
Lasso, quand’io offerisco il dolce mele,
Tu lo disprezzi, dispettosa, forse,
Perche mel via più dolce hai ne le labra.
Ma, se mia povertà non può donarti
Cosa, ch’in te non sia più bella, e dolce,
Me medesmo ti dono. hor perche iniqua
Scherni, et abhorri il dono? non son’io
Da disprezzar, se ben me stesso vidi


Nel

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