< Pagina:Aminta.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
50 Atto Secondo.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aminta.djvu{{padleft:50|3|0]]

Rizzossi tosto, e i fior lasciò cadere.
In tanto io più ridea del suo rossore,
Ella più s’arrossia del riso mio.
Ma, perche accolta una parte de’ crini,
E l’altra haveva sparsa una, ò due volte,
Con gli occhi al fonte consiglier ricorse,
E si mirò quasi di furto, pure
Temendo, ch’io nel suo guatar guatassi,
Et incolta si vide, e si compiacque,
Perche bella si vide ancor che incolta.
Io me n’avvidi, e tacqui. Tirsi Tu mi narri
Quel ch’io credeva à punto. hor non m’apposi?

Dafne
Ben t’apponesti: ma pur odo dire,

Che non erano pria le pastorelle,
Nè le Ninfe si accorte, né io tale
Fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,
E invecchiando intristisce. Tirsi Forse allhora
Non usavan si spesso i cittadini
Ne le selve, e ne i campi, né si spesso
Le nostre forosette haveano in uso
D’andare à la cittade. hor son mischiate
Schiatte, e costumi. ma lasciam da parte
Questi discorsi: hor non farai, ch’un giorno
Silvia contenta sia, che le ragioni
Aminta? ò solo, ò almeno in tua presenza?

Dafne
Non sò. Silvia è ritrosa fuor di modo;
Tirsi
E costui rispettoso è fuor di modo.
Dafne
È spacciato un’amante rispettoso.

Consiglial pur, che faccia altro mestiero,
Poich’egli è tal. chi imparar vuol d’amare,


Disim-

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aminta.djvu{{padleft:50|3|0]]

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.