Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
66 | Atto Terzo. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aminta.djvu{{padleft:66|3|0]]
Ch’io la smarrij, e poi tornando dove
Lasciai Aminta al fonte, no’l trovai;
Ma presago è il mio cor di qualche male.
Sò, ch’egli era disposto di morire,
Prima che ciò avvenisse. Choro È uso, et arte,
Di ciascun, ch’ama minacciarsi morte,
Ma rade volte poi segue l’effetto.
- Tirsi
- Dio faccia, ch’ei non sia trà questi rari.
- Choro
- Non sarà, nò. Tirsi Io voglio irmene à l’antro
Del saggio Elpino: ivi, s’è vivo, forse
Sarà ridotto, ove sovente suole
Raddolcir gli amarissimi martiri
Al dolce suon de la sampogna chiara,
Ch’ad udir trahe da gli alti monti i sassi,
E correr fa di puro latte i fiumi,
E stillar mele da le dure scorze.
SCENA SECONDA
Aminta. Dafne. Nerina.
- Aminta
- DIspietata pietate
Fù la tua veramente, ò Dafne, allhora,
Che ritenesti il dardo,
Però che ’l mio morire
Più amaro sarà, quanto più tardo
Et hor, perché m’avvolgi
Per si diverse strade, e per si varij
Ragionamenti in vano? di che temi?
Ch’io |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aminta.djvu{{padleft:66|3|0]]