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Scena Seconda. | 67 |
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Ch’io non m’uccida? temi del mio bene.
- Dafne
- Non disperar, Aminta,
Che, s’io lei ben conosco,
Sola vergogna fù, non crudeltate,
Quella, che mosse Silvia à fuggir via.
- Aminta
- Ohime, che mia salute
Sarebbe il disperare,
Poiche sol la speranza
È stata mia rovina, et anco, ahi lasso,
Tenta di germogliar dentr’al mio petto,
Sol perche io viva: e quale è maggior male
De la vita d’un misero, com’io?
- Dafne
- Vivi misero, vivi
Ne la miseria tua: e questo stato
Sopporta sol per divenir felice
Quando che sia. fia premio de la speme,
Se vivendo, e sperando, ti mantieni
Quel che vedesti ne la bella ignuda.
- Aminta
- Non pareva ad Amor, e à mia Fortuna,
Ch’à pien misero fossi, s’anco à pieno
Non m’era dimostrato
Quel, che m’era negato.
- Nerina
- Dunque à me pur convien’esser sinistra
Còrnice d’amarissima novella,
O’ per mai sempre misero Montano,
Qual’animo fia’l tuo, quando udirai
De l’unica tua Silvia il duro caso?
Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre.
- Dafne
- Odo una mesta voce. Aminta Io odo ’l nome,
Di Silvia, che gli orecchi, e’l cor mi fere:
Ma, |
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