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Scena Seconda. | 79 |
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Che à me ben si conviene
Più che forse non pensi, et io’l ricevo
Come dovuta cosa. hor tu di lui
Non mi sij dunque scarso.
- Nuncio
- Ninfa, io ti credo bene,
Ch’io sentij quel meschino in su la morte
Finir la vita sua,
Co’l chiamar’il tuo nome.
- Dafne
- Hora, comincia homai
Questa dolente historia.
- Nuncio
- Io era à mezo’l colle, ove havea tese
Certe mie reti, quanto assai vicino
Vidi passar Aminta in volto, e in atti
Troppo mutato da quel, ch’ei soleva,
Troppo turbato, e scuro. Io corsi, e corsi
Tanto, che’l giunsi, e lo fermai; et egli
Mi disse, Ergasto, io vò, che tu mi faccia
Un gran piacer. quest’è che, tu ne venga
Meco per testimonio d’un mio fatto;
Ma pria voglio da te, che tu mi leghi
Di stretto giuramento la tua fede,
Di startene in disparte, e non por mano
Per impedirmi in quel, che son per fare.
Io (chi pensato havria caso sì strano,
Nè sì pazzo furor?) com’egli volse,
Feci scongiuri horribili, chiamando
E Pane, e Palla, e Priapo, e Pomona,
Et Hecate Notturna. indi si mosse,
E mi condusse, ov’è scosceso il colle,
E ù per balzi, e per dirupi incolti
D 4 | Strada |
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