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vegio; e così corrugavasi il suo viso il giorno in cui in una tempestosa conferenza percuoteva, il Polacco, e dalla slitta lo atterrava nel ghiaccio. — È strano.
MARCELLO.
Così, già per due volte, in quest’ora solenne, egli è passato davanti al nostro posto di guardia con passo marziale.
ORAZIO.
Non so quale possa essere il suo intento; ma, secondo il mio immaginare, ciò presagisce qualche strano commovimento pel nostro Stato
MARCELLO.
Ebbene, sediamo, e quegli che lo sa, mi dica perchè guardie tanto vigili e severe debbano così affaticare ogni notte i sudditi di questo paese? Perchè si fondono ogni dì tanti cannoni, e si comprano dal di fuori tanti strumenti da guerra? Perchè tal ricerca di costruttori di vascelli, ai quali il lavoro incessante non permette omai più di separare la domenica dagli altri giorni della settimana? Quali avvenimenti si preparano perché convenga all’artefice sudante di unire nelle sue opere le notti ai giorni? Chi potrà dirmelo?
ORAZIO.
Io, o dirò almeno le voci segrete che corrono. Il nostro ultimo re, la cui imagine ci apparve dianzi, fu sfidato, lo sai, a battaglia da Fortebraccio di Norvegia, cui il più invido orgoglio infiammava. Il nostro prode Amleto (che tale lo giudicava questa parte del nostro mondo conosciuto) uccise Fortebraccio nel combattimento. Per patto suggellato, regolarmente ratificato dalla legge e dalle corti cavalleresche, Fortebraccio cedeva, colla vita, tutte le sue terre al vincitore, che dal lato suo aveva arrischiato di perdere una metà dei suoi possedimenti. Per quell’accordo scambievole la successione del vinto andava di diritto ad Amleto; ma il giovine Fortebraccio, impetuoso e senza esperienza, ha raccolto in fretta. sulle frontiere della Norvegia, una torba di avventurieri pronti a mettersi ad ogni sbaraglio per campare la vita. Il suo disegno, e non lo ignora alcuno, è di ripigliare per forza le terre che suo padre ha perdute; ed ecco, se non erro, il motivo principale degli apparecchi che si fanno, della guardia assidua che ci viene imposta, e di quel moto operoso che si scorge in tutto il paese.
BERNARDO.
Penso io pure che sia soltanto ciò, e la cosa si accorda colla figura portentosa che venne armata fra noi così simile al re, che fu ed è l’autore di queste guerre.
ORAZIO.
Egli è un fuscello che turba l’occhio della mente. Nei giorni più splendidi di Roma, poco prima che cadesse il gran Giulio, le tombe si spalancarono, e i morti avvolti nei loro lenzuoli errarono ululando per le vie; le stelle vibrarono strisce di fuoco, cadde una rugiada
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