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8 shakespeare.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Amleto (Rusconi).djvu{{padleft:9|3|0]]stituì al compagno, e quando fu conosciuto, pare non riuscisse sgradito; e allorchè il povero comico, bussando alla porta, gridava: «Son Riccardo III», il poeta, fattosi alla finestra, con accento beffardo gli rispose: «Ed io sono Guglielmo il Conquistatore.»

Ne’ suoi Sonetti si lagna degli affanni d’amore, e in quelli che scrisse sul finire della sua esistenza, vibra la nota patetica e sconfortata. «Tu puoi vedere in me (dice alla sua bella) quella stagione dell’anno in cui le foglie ingiallite (poche se pur ne rimangono) pendono ai rami che fa tremolare la brezza: frascati in rovina e sfrondati, ove poc’anzi garrivano gli uccelli... Non piangere per me, allor ch’io sia morto, più lungamente del tempo in cui udrai la tetra squilla annunziare alla terra che sono fuggito da questo mondo vile per abitare coi vermi, più vili ancora. Se leggi queste parole, scordati della mano che le vergò: ti amo tanto, che desidero essere cancellato dalla soave tua rimembranza, se pensando a me, tu potessi essere infelice. Oh! se getti uno sguardo su questi versi, quando io non sarò più che argilla, non ripetere il mio povero nome, o lascia che il tuo amore appassisca colla mia vita.»

Stanco, perseguitato da un amaro cruccio verso tutti, si ritirò nella sua casa di Stratford, dove viveva ancora la moglie. Maritò le sue due figliuole (l’unico maschio eragli morto adolescente), e s’occupò del suo giardino, piantando il primo gelso che fosse veduto nella contea. Nel 23 aprile 1616 morì; ed alla moglie lasciò il suo «secondo miglior letto guernito» istituendo sua erede la primogenita Susanna. Fu sepolto nella chiesa di Stratford, vietando espressamente che si toccassero le sue ceneri. Alla sua memoria fu eretta in una nicchia, a guisa de’ santi, una statua dipinta, giusta la moda del tempo, di nero e di scarlatto. Più tardi si pensò all’apoteosi; ma rimaneva solo un po’ di cenere nella fossa di quell’uomo maraviglioso che aveva tracciato orma sì profonda sulla terra, e che, come disse Spenser, «la natura aveva fatto per contraffar sè stessa e imitare il vero.»


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