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l | additamenti elementari. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Archivio Glottologico Italiano, vol. 1, 1873.djvu{{padleft:58|3|0]]regolarmente ad u, per effetto dell’i che è all’uscita, laddove resta ȯ nel singolare, perchè la vocal finale è diversa dall’i. E la regola si può enunciare a questo modo:
u = ṓ...-i,
che significa: qui si ottiene u dall’ṓ lungo in accento, dato l’i finale.
Si può così avere un’alterazione come transitoria del suono interno di un dato tema nominale o verbale. E un altro caso di alterazione transitoria può aversi per l’effetto che il suono iniziale di una parola eserciti sul finale di quella che precede, oppure per quello che il finale della precedente eserciti sull’iniziale di quella che sussegue. Il secondo caso, frequentissimo, come ognun sa, negli idiomi celtici, e non estraneo pure all’Italia Superiore, si avverte, in modo assai notevole, nei dialetti sardi; per es.: sos bȯes i buoi, u̇nu bȯe un bove. Le affezioni che i suoni subiscono per entro alla singola parola, si possono così, in qualche parte, comunicare al complesso fonetico, che due diverse parole vengono a formare per la loro contiguità nel discorso. Di un terzo, e ben più frequente caso di alterazione transitoria, che si collega in vario mtfdo col primo, sarà fra poco ritoccato.
Intanto fermiamoci a notare, che se nel frane, sauter, addotto di sopra, il t rimane intatto perchè è preceduto, nella sua base, da altra consonante (saltare), questa conservazione è un effetto che sopravvive alla sua causa, poichè sauter oggi ha veramente un t fra vocali. E se il napoletano ha uórdene al plurale e órdene al singolare (pag. 425-6 in n.), egli serba nella prima forma, per fenomeno congenere di quello che prima avemmo in gloriúsi allato a glorióso, l’effetto dell’i finale, che nella fase odierna di quel dialetto più non si distingue dall’e del singolare; e quindi ha un uó da ó, o vogliam dire una specie di alterazione, che è anch’essa l’effetto di una causa ormai smarrita. Ancora citiamo il frane, être, che ha un t aggiuntizio, voluto, qual termine conciliatore, dalla combinazione etimologica s’r (es’re; estre dell’ant. franc.), così come il d è voluto dalla combinazione n’r (gen’re gendre). Ma l’antico estre ha poi dovuto lasciar tacere il suo s (cfr. pàtre pastre, pástor; ecc.); e l’intrusione del t resta ancora l’effetto di una causa obliterata.