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432 rassegna bibliografica

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu{{padleft:438|3|0]]appena venti colonne della raccolta del Muratori), non trovò in Napoli chi lo stampasse, benché alcuno ne avesse anche fatto il proposito, come fu il letterato Giuseppe Campanile, che viveva a mezzo il seicento. Anzi fu cosa assai strana, che mentre i Diurnali si vantavano come una gloria napoletana e per essere scritti in volgare, dovessero la prima volta esser pubblicati fuori d’Italia, voltati in altra lingua, e per tutta altra considerazione. Fu infatti il Papebrochio, che avutane copia dalle librerie gesuitiche di Viterbo e di Roma, li dette fuori (an. 1685) in un volume di corredo alla grande raccolta degli Atti de’ Santi, tradotti in latino, come documento nuovo della empietà di Federigo II e del suo bastardo; «ex italico latine redditum fideliter, ad cognoscendam distinctius ìmpietatem eorum qui tunc ecclesiam affllgebant, Frederici inquarti imperatorìs et notiti eius Manfredi». E fu parimente strano assai che un siciliano, cioè il Caruso, ristampando lo Spinello nell’anno 1723 nella Bibliotheca historica Regni Siciliae, lasciasse da parte il testo volgare, e riproducesse la traduzione del gesuita fiammingo, benché alterata da non pochi e stranissimi errori.

Fin qui però la critica si era pochissimo impacciata di esaminare i Diurnali; e que’ primi che ne avevano discorso per lo più eran rimasti contenti di celebrarne la schiettezza e la veneranda semplicità, e di creder loro, senza scendere ai confronti con altre scritture contemporanee, allora in vero per gran parte sconosciute e poco curate. Ma gli errori di cronologia, che rendono quasi da capo a fine inconciliabili questi ricordi, come si leggono nei manoscritti, con le altre storie e co’ documenti autentici, non potevano rimanere inosservati, quando venissero in mano di studiosi e di editori più attenti. E difatti, quando si pensò di inserirli negli Scrittori delle cose d’Italia, Gio. Bernardino Tafuri, mandava una trascrizione del testo volgare, accompagnata da una censura, dove i più evidenti anacronismi erano notati ed emendati. Il Muratori, stampando quel testo, con la solita traduzione del Papebrochio a fronte, vi sottoponeva varie note emendative, accennando esso pure nel proemio alla confusione grande delle date e degli anni, e rimettendosi, per i particolari, alle correzioni del Tafuri, che per intero

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