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iv - capitoli 87

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XI

Bella Firenze sopra ogni cittá italiana; ma non vale a rasserenare
il suo cuore turbato perché lontano dalla sua donna.

  Gentil cittá, che con felici augúri
dal monte altier che forse ben per sdegno
ti mira sí, qua giú ponesti i muri,
  come del meglio di Toscana hai regno,
5cosí del tutto avessi! ché’l tuo merto
fora di questo e di piú imperio degno.
  Qual stil è sí facondo e sí diserto
che de le laudi tue corressi tutto
un cosí lungo campo e cosí aperto?
  10Del tuo Mugnon potrei, quando è piú asciutto,
meglio i sassi contar che dir a pieno
quel ell’ad amarti e riverir m’ha indutto,
  piú presto che narrar quanto sia ameno
e fecondo il tuo pian, che si distende
15tra verdi poggi insin al mar Tirreno;
  o come lieto Arno lo riga e fende,
e quinci e quindi quanti freschi e molli
rivi, tra via, sotto sua scorta prende.
  A veder pien’ di tante ville i colli,
20par che ’l terren ve le germogli, come
vermene germogliar suole e rampolli.
  Se dentro un mur, sotto un medesmo nome,
fusser raccolti i tuoi palazzi sparsi,
non ti sarian da pareggiar due Rome.
  25Una so ben che mal ti può uguagliarsi,
e mal forse anco avria possuto prima
che li edifici suoi le fussero arsi
  da quel furor che usci dal freddo clima
or de’ vandali, or de’ eruli e or de’ goti,
30 all’italica rugine aspra lima.

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