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canto quarto. | 99 |
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Finch’io ritorno a rivederli, ponno
Cenare ad agio, e di poi fare un sonno.
90 Intanto, Carlo alla battaglia intento
Che ’l re boemme aver dovea con lui,
Senza sospetto alcun che tradimento
(Quel che non era in sè) fosse in altrui,
Facea provar destrier, chè cento e cento
N’avea d’eletti alli bisogni sui;
E li migliori, a chi facea mestieri,
Largamente partía fra i suoi guerrieri.
91 Non solo aver per sè buona armadura,
Quanto più si potea forte e leggiera,
Ma trovarne ai compagni anco avea cura,
Chè se mai lor ne fu bisogno, or n’era.
Seco gli usava alla fatica dura
Due fïate ogni dì, mattina e sera;
E seco in maneggiar arme e cavallo
Facea provarli, e non ferire in fallo.
92 Ma Cardoran, che non ha alcun disegno
Di por lo stato a sorte d’una pugna,
Viene aguzzando tuttavía l’ingegno,
Sì come tronchi all’Augel santo l’ugna.
Aspetta e spera d’Unghería, e dal regno
Delli Sassoni omai, ch’ajuto giugna:
La notte e il giorno intanto unqua non resta
Di far più forte or quella cosa or questa.
93 E ridur si fa dentro a poco a poco
E vettovaglie e munizione e gente,
Chè, per la tregua, in assediar quel loco
L’esercito era fatto negligente;
E parea quasi ritornata in gioco
La guerra ch’a principio era sì ardente;
E scemata di qui più d’una lancia,
Contra Rinaldo era tornata in Francia.
94 Sansogna e Slesia ed Ungheria una bella
E grossa armata insieme posta avea:
La gente di Sansogna, e così quella
Di Slesia, i pedestri ordini movea:
Venir con questi, e la più parte in sella
L’esercito dell’Ungar si vedea:
Poi seguía un stuol di Traci e di Valacchi,
Bulgari, Servïan, Russi e Polacchi.