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I componimenti che seguono erano stati impressi dai più sotto il solo e più generico nome di Capitoli; a noi, meglio esaminatane la natura, piacque pel maggior numero di essi seguire il Rolli e il Pezzana, che avean lor dato più consideratamente quello di Elegie. E tali ben sono, senza che possa muoversene dubbio, i primi diciassette, in cui Lodovico lamenta le sue amorose sventure, o fa pompa delle sue allegrezze, o deplora estinti meritevoli o creduti degni di compianto. In essi ancora è da ricercare e da considerare l’ingenua dipintura di sè, i casi esterni e spesso i più intimi della sua vita, la solita gran vena d’ingegno, la copia dei caldi insieme e temperati affetti del cuore. Nè tutte le Elegie, secondo che alcuno avea detto, sono opere giovanili, come i soggetti e le allusioni dimostrano; tranne forse due sole, di cui la prima (XVI) è indizio de’ primi passi che l’autore venía stampando nella carriera poetica; e l’altra (XVII) buon saggio del valore sopreminente che in quella avrebbe poi dato a conoscere.

L’appellativo di Capitoli ci parve nondimeno da conservarsi per quelli che nelle stampe del Molini erano l’ottavo e il decimo, e che ambedue ci rendon l’aria di Epistole; tra’ quali il secondo sembra quasi un preludio delle cose esposte nella Satira seconda, e un’anticipata protesta dello svincolarsi che il poeta poi fece dalla servitù del cardinale Ippolito d’Este. Ma non altro titolo poteva mai convenirsi al ventesimo della citata edizione, il cui carattere al têma congenito, e il proposito sì felicemente mutato, sono abbastanza dichiarati nelle annotazioni.

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