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elegia decimaterza. | 237 |
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Ch’io per me stimo chiuso in sepoltura
Ogni spirto ch’alberghi in petto dove
6Non stilli Amor la sua vivace cura.
Doglia a cui vuol doler, ch’ove si move
Questo dolce pensier, che falsamente
9È detto amaro, ogni altro indi rimove;
Ch’io, per me, non vorrei, se d’eccellente
Néttare ho copia, che turbasse altr’ésca
12Il delicato gusto di mia mente.
Prema a cui premer vuol, annoî e incresca,
Che, se non dopo un’aspra e lunga pena,
15Raro un disegno al bel desir riesca;
Ch’io, per me, so che a una allegrezza piena
Ir non si può per sì difficil via,
18Se ostinata speranza non vi mena.
Pensi chi vuol che alla fatica ria,
Al tempo ch’in gran somma vi si spende,
21Debil guadagno e lieve premio sia;
Ch’io, per me, dico che se quanto offende
Sdegno o repulsa, un guardo sol ristora,
24Che fia pel maggior ben che Amor ne rende?
Paja a cui par che perda ad ora ad ora
Mille doni d’ingegno di fortuna,
27Mentre il suo intento qui fisso dimora;
Ch’io, per me, pur ch’io sia caro a quell’una
Ch’è mio onor, mia ricchezza e mio desire,
30Non ho all’altrui corone invidia alcuna.
Ricordisi chi vuole ingiurie ed ire,
E discortese oblíi li piacer tanti
33Che tante volte l’han fatto gioire;
Ch’io, per me, non rammento alcun di quanti
Oltraggi unqua potêrmi arrecar doglia,
36E i dolci affetti ho sempre tutti innanti.
Pensi chi vuol che ’l tempo i lacci scioglia
Che Amor annoda, e che ci dorrem’anco
39Nomando questa leve e bassa voglia;
Ch’io, per me, voglio al capel nero e al bianco
Amare, ed esortar che sempre s’ami:
42E s’in me tal voler dee venir manco,
Spezzi or la Parca alla mia vita i stami.