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canto secondo. | 57 |
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Nel campo tolto al popolo boemme
Baciò la mano al buon re di Parigi,
Ch’avendolo raccolto nelle braccia,
Di qua e di là gli ribaciò la faccia.
134 Era inclinato di natura molto
A Gano Carlo, e ne facea gran stima,
E poche cose fatte avría, che tolto
Il suo consiglio non avesse prima;
Come ogni signor quasi in questo è stolto,
Che lascia il buono ed il peggior sublima;
Nè, se non fuor del stato, o dato in preda
Degl’inimici, par che il suo error veda.
135 Per non saper dal finto il vero amico
Scernere, in tale error misero incorre.
Di questo vi potrei, ch’ora vi dico,
Più d’un esempio innanzi agli occhi porre;
E senza ritornar al tempo antico
N’avrei più d’uno a nostra età da tôrre:
Ma se più versi a questo Canto giungo,
Temo vi offenda il suo troppo esser lungo.
CANTO TERZO.
ARGOMENTO.
Gano tornato a Carlo, e inteso avendo
Di Praga i gran perigli, ajuto dona
A Cardorano, e tradimento orrendo
Di Francia ordisce alla real corona:
Quinci vien con inganni empî togliendo
Rinaldo al magno re: quinci in persona
Passa in Marsiglia, e Bradamante prende;
Ma Orlando al fin di lei prigione il rende.
1 D’ogni desir che tolga nostra mente
Dal dritto corso ed a traverso mande,
Non credo che si trovi il più possente
Nè il più comun di quel dell’esser grande:
Brama ognun d’esser primo, e molta gente
Aver dietro e da lato, a cui comande;
Nè mai gli par che tanto gli altri avanzi,
Che non disegni ancor salir più innanzi.