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canto terzo. | 61 |
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17 Io non vi contraddico che valenti
Cavalier qui non sian, come coloro
Che nominati v’ho per eccellenti;
Ma non sappiam così le prove loro.
Questo luogo non è da esperimenti
Di chi sia, al paragon, di rame o d’oro:
Vogliam di quei che cento volte esperti
Della virtude lor n’han fatti certi. —
18 E seguitò mostrando, con ragioni
Di più efficacia ch’io non so ridire,
Che non doveano senza i duo campioni,
Lumi di Francia, a tal prova venire;
E la sua vinse l’altre opinïoni,
Che la pugna si avesse a differire,
Fin che venisse a così a gran bisogna
L’uno d’Italia e l’altro di Guascogna.
19 Queste parole ed altre dicea Gano,
Per carità non già del suo signore,
Ma di vietar che non gli andasse in mano
Quella città studiava il traditore,
E tanto prolungar che Cardorano
L’ajuto avesse che attendea di fuore:
In somma, il suo parer parve perfetto,
E fu per lo miglior di tutti eletto.
20 Che diece i guerrier fossero, si prese
Conclusïon, pur come Gano volse;
E da’ diece di maggio al fin del mese
Di giugno un lungo termine si tolse.
In questo mezzo, si levâr le offese,
E quello assedio tanto si disciolse,
Che Praga potea aver di molte cose
Che fossino alla vita bisognose.
21 Nuove intanto venian dell’apparecchio
Che l’Ungaro facea d’armata grossa;
Ma sempre Gano a Carlo era all’orecchio,
Che dicea: — Non temer che faccia mossa. —
Io lessi già in un libro molto vecchio,
Nè l’autor par che sovvenir mi possa,
Ch’Alcina a Gano un’erba al partir diede,
Che chi ne mangia fa ch’ognun gli crede.
22 Quella mostrò nel monte Sina Dio
A Moisè suo, sì che con essa poi
ariosto. — Op. min. — 1. | 6 |
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