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122 | la cassaria. |
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Avessi avute, c’ho avute io, non dubito
Che faresti il medesimo.
Corbo. Puote essere.
Nebbia.E se mirassi ove io miro, parrebbeti
Ch’ io non facessi a bastanza.
Corbo. Ove miri tu?
Nebbia.Io tel dirò. Tu dovresti conoscere
Questo rufian, che non è molto ch’abita
In questa nostra contrada.
Corbo. Conoscolo.
Nebbia.Se ’l conosci, credo anco che veduto gli
Abbi in casa due giovani bellissime.
Corbo.L’ho vedute.
Nebbia. Dell’una il nostro Erofilo
È sì invaghito, che torría, potendola
Aver, di dar quanto egli ha al mondo, e vendere
Sè stesso; ma il ruffian, che il desiderio
Conosce, e sa ch’è figliuol di Crisobolo,
Dei ricchi mercadanti ch’abbia Sibari,
Gliene chiede più il doppio, e passa i termini
Di quel che pel dover gli dovría chiedere.
Corbo.E che glie ne chiede egli?
Nebbia. Non so dirtelo
A punto: so che più dell’ordinario
Assai gli ne domanda, che nè Erofilo
Da sè, nè con gli amici, eccettüandone
Il padre solamente, potría ascendere
A sì gran somma.
Corbo. Che farà?
Nebbia. Grandissimo
Danno a suo padre, e insieme a sè medesimo.
Credo ch’abbia adocchiato o il grano vendere,
Ch’a questi dì ci venne di Sicilia,
O le sete o le lane o l’altre simili
Merci, che in casa a fatica capiscono.
Il consiglier, come sai, di tal pratica,
È questo ladro di Volpino: immagina
Il resto tu. Quel ch’a punto aspettavano
È venuto, che ’l vecchio per tempissimo
Questa mattina è partito, per irsene
A Procida: essi, acciò che non si veggano
Le trame loro, in casa non ci vogliono: