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atto primo. — sc. i, ii. 125
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Ha nome, che sì bene ambi starebbono
Su ’n par di forche, come il vino in tavola.
Ma vedi, Corbo, le fanciulle, ch’escono
Di casa del ruffian.
Corbo.                                Di quale è Erofilo
Innamorato?
Nebbia.                     Di quella più prossima
All’uscio: di quell’altra l’altro giovane.
Corbo.Studiamo il passo, che se uscisse Erofilo
E ci trovasse qui, di negligenzia
C’imputerebbe, e forse adirarebbesi.


SCENA II.

CORISCA, EULALIA.


Corisca.Deh vieni, Eulalia, poichè non c’è Lucramo
In casa; vieni un poco fuor: pigliamoci
Questo spasso.
Eulalia.                           Che spasso possiam, misere!
Pigliar, che ricompensi la millesima
Parte, Corisca, di nostra disgrazia?
Noi siamo serve: la qual dura ed aspera
Condizïon saría pur tollerabile,
Quando d’alcuna persona noi fossimo
Ch’avesse in sè umanitade e modestia;
Ma fra tutti i ruffiani che si trovano
Al mondo, non è un altro dispiacevole,
Avaro, empio, crudele e pien di rabbia,
Come costui, del qual la nostra pessima
Sorte ci ha fatto schiave.
Corisca.                                          Pazïenzia,
Sorella: non abbiam così in perpetuo
A star però. Spero pur che ci levino
Gli amici un giorno di questa miseria.
Eulalia.E quando hanno a far questo, non avendolo
Sin qui mai fatto? E come vuoi, partendoci
All’alba noi domani, che lo facciano?
Corisca.Io so ben quel che Caridor promessomi
Ha tante volte, e tu sai quel che Erofilo
Ha promesso a te ancora; e quanto ci amino
Sapemo parimente.



    11°

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