Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
137 |
ATTO SECONDO.
SCENA I.
LUGRAMO, FURBO.
Lucramo.Il Furbo ancor non ritorna. Lasciatolo
Ho in piazza dianzi, ch’un danar mi comperi
Di radici; e credea dovesse giungere
A casa prima di me, che fermatomi
Sono in più lochi venendo. Ma eccolo,
Che pur ritorna. Bisogna sempre, asino,
Ch’io t’abbia dietro il bastone o lo stimulo,
Ch’io non ti posso altrimente far muovere
Di passo mai. Costà ti ferma, et odimi,
Per quanto gli occhi ti sono, per quanto t’è
Cara la lingua; chè so che pochissimo ,
Conto fai delle spalle, e voglio credere
Che l’abbi in odio, ch’ogni dì materia
Truovi, anzi ognora, di fartele battere:
Per quanto il capo t’è caro, chè rompere
Non te lo vegghi, e le cervella spargere
Innanzi a’ piedi; apri l’orecchie, e ascoltami.
Furbo.Aprirò la bocca anco, acciocchè m’entrino
Meglio le tue parole.
Lucramo. Anzi pur chiudila;
Nel resto poi, di sopra e di sotto apriti
Quanto ti par. Ti cavo gli occhi, e taglioti
La lingua, se di questo ch’io comunico
Teco, tu parli.
Furbo. Io tacerò.
Lucramo. Ora ascoltami.
Tu sai, che da sei giorni in qua continua-
mente ho detto ch’io voglio ire in Sicilia,
Come questo nocchiero, il quale a Drepano
Vuol ritornar, si parta; e in guisa dettolo
Ho, che tu lo credevi, ed anco il credeno
Le fanciulle, e lo crede ognun che pratica
Meco co’ miei di casa: ma contrario
Dalle parole ho sempre avuto l’animo;
12° |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:147|3|0]]