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166 | la cassaria. |
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Volpino. Non ir, patron, che non ti facciano
Qualche male.
Erofilo. E che peggio mi potríano
Far, se già m’han levato il côr e l’anima?
Volpino.Gli voglio ir dietro, e veder di rivolgerlo
A far quel che se non fa, s’ha da perdere
La cassa. Ma tu, Trappola, va; aspettami
Qui in casa nostra, che con l’altre perdite
Non perdessi anco i panni di Crisobolo.
Entra presto, che non ti vegga Lucramo
Meco, che di casa esce. Tu sii guardia,
Fin ch’io sia ritornato, della canova.
SCENA IX.
LUCRAMO, FURBO.
Lucramo.Non è fra quanti uccellatori uccellano
Di me il più avventuroso, che a’ duo piccioli
E magri uccelli, ch’ognora mi cantano
Intorno casa, avendo le mie panie
Poste, è venuta a volo ad invescarvisi
Una perdice; chè perdice nomino
Un certo mercatante più alla perdita
Disposto che al guadagno. Domandatomi
Ha ch’io gli venda una delle mie femmine;
Nè sol si è contentato senza replica
Prometter quanto ho saputo richiedergli,
Ma fin che porti i danari, lasciatomi
Ha pegno una sua cassa di finissimi
Filati d’oro piena, che più vagliono
Che non vaglion le mie nè quante femmine
Ruffian potrà mai comperar o vendere.
Questa è una occasïone che può occorrere
Raro; e s’io son sì sciocco, che fuggirmi la
Lasci, non so dove mai più incontrarmila.
S’io tardo che costui torni, e ripigli la
Cassa, mi pelo indarno il mento, e impiccomi:
Ma s’io la porto altrove meco, e vendola,
Mai più non sono alla mia vita povero.
Questa notte mi vô, se gli è possibile,
Partire, o tosto che le porte s’aprano