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atto quarto. — sc. viii. | 269 |
Avvocato, che buono a sufficienzia
Per tutte queste cose vi puote essere.
Filogono.Dunque, a questi che avvocano o procurano
Mi darò in preda; alla cui insaziabile
Avarizia supplir non saría idoneo,
Non che qui un forastier, ma nè a la patria?
So pur troppo i costumi lor. Dirannomi,
Come lor parli, c’ho ragion da vendere;
E, senza dubbio alcun, prometterannomi
La causa vinta, pur che m’avviluppino:
Ma poi ch’io sarò entrato, nè in mio arbitrio
Fia più comodamente di levarmene,
Cominceranno a ritrovare i dubii;
Che ritrovar? anzi a farveli nascere;
E mi vorran dar la colpa che instruttoli
Ben della causa non gli abbia a principio:
E cercheran con questi mezzi svellermi,
Non che i danar de la borsa, ma l’anima
Del corpo.
Ferrarese. Questo avvocato, Filogono,
Ch’io vi propongo, non è a gli altri simile:
È mezzo santo.
Lizio. L’altro mezzo è diavolo,
Forse?
Filogono. Ben dice Lizio. Anch’io pochissima
Fede ho in questi che torto il capo portano,
E con parole mansuete ed umili
Si van coprendo fin che te l’attaccano.
Ferrarese.Costui ch’io vi propongo non vô credere
Che sia di questa sorte: ma mettiamo che
Ne fosse ancor, l’odio e la nimicizia
Che tien con questo, o sia Dulippo o Erostrato,
Farà che, senza guardare al proprio utile,
Vi darà ajuto e ogni favor possibile.
Filogono.Che inimicizia è la loro?
Ferrarese. Diròvvelo:
Ambi per moglie una figlia domandano
D’un nostro gentiluomo, e concorrenzia
Hanno d’amore.
Filogono. È dunque di tal credito,
A mio costo, in Ferrara questo perfido,
Ch’ardisce domandare a’ gentiluomini
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