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atto quinto. — sc. vi. | 277 |
Che così mi darete mal udienzia.
Cleandro.No, dite pur; v’ascolterò benissimo.
Filogono.Io dico che si mandi uno a Catanea,
E che si faccia...
Cleandro. Questo ho inteso; e, al credere
Mio, non si può miglior partito prendere.
Dite che vostro servo è questo giovane?
Fate ch’io sappia in che modo; informatemi
Appieno d’ogni cosa.
Filogono. Informaròvvene.
Al tempo che li Turchi Otranto presero...
Cleandro.Voi mi tornate i miei danni a memoria.
Filogono.Come?
Cleandro. Chè allora io fui cacciato, misero!
Di quella terra, ch’era la mia patria;
E tanto vi perdei, che sempre povero
Nè sarò ed infelice.
Filogono. D’ogni incomodo
Vostro mi duol.
Cleandro. Seguite.
Filogono. In quel medesimo
Tempo fûro alcun’ nostri di Sicilia,
Li quai quel mar con tre galée scorrevano,
Ch’ebbero spia, che di preda ricchissima
Un legno d’Infedel’ tornava carico...
Cleandro.E v’era su del mio forse in gran copia.
Filogono.E alla volta di quello se ne andarono,
E fûr seco alle mani. Al fin lo presero,
E a Palermo, donde erano, tornaronsi
Con esso: e fra le cose che vi avevano,
Ci avean questo ribaldo, che, al mio credere,
Non dovéa ancora alli cinque anni giungere.
Cleandro.Uno, ah misero me! della medesima
Etade vi perdei.
Filogono. E ritrovandomi
Io quivi, e assai l’aspetto suo piacendomi,
Proffersi lor venti ducati, ed ebbilo.
Cleandro.Era il fanciullo turco, o pur l’avevano
In Otranto rapito quei Turchi?
Filogono. Eglino,
Ch’era il fanciullo d’Otranto, dicevano.
Ma che ha a far questo? Io lo comprai, e spesivi
ariosto. — Op. min. — 2. | 24 |
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