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330 la lena.

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Fazio.                         Son vostro. Olà, Licinia,
S’alcun mi viene a domandar, rimettilo
Alla bottega qui di mastro Onofrio:
Fino ad ora di cena potrà avermici.


SCENA VII.

LENA.


Nel male è grande avventura che Fazio
Uscito sia di casa; che difficile-
mente, se non si partiva, potevasi
Oggi più trar di quella botte Flavio.
Com’io lo vidi in quella casa spingere,
M’assalse al cuore una paura, un tremito,
Che non so come io non mi morî subito.
Potuto non s’avría sì poco muovere,
Che di sè non avesse fatto accorgere:
Un sospirar, un starnutire, un tossere
Ne rovinava. Or, poichè senza nuocerne
Questa sciagura è passata, provveggasi
Ch’altro non venga. Ora non s’ha da attendere
Ad altra cosa, che di tosto metterlo
Di fuor, ch’alcun nol vegga. Vada Corbolo
A provveder di veste: ma fuor mandisi
Però prima la fante; chè pericolo
Saría, stand’ella qui, che fosse il giovine
Da lei veduto o sentito. Odi, Menica:
A chi dich’io? Licinia, di’ alla Menica,
Che tolga il velo ed a me venga. Or eccola.


SCENA VIII.

MENICA, LENA, CORBOLO, poi PACIFICO.


Menica.Lena, che vuoi?
Lena.                              Piacciati, cara Menica,
Di farmi un gran servizio, da dovertene
Esser sempre tenuta.
Menica.                                      Che vuoi?
Lena.                                                         Vuo’ mi tu
Farlo?


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