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atto quinto. — sc. ii, iii. | 411 |
Camillo. Col dïavolo
Va, ladroncello; va alle forche, impíccati.
Abbondio.Lascialo andare, e non entrar più in collera.
Ormai dovría chiamarne dentro Massimo;
E forse è questo. Non è già. Oh, con che impeto
Esce costui! Par tutto pien di gaudio.
SCENA III.
TEMOLO, MASSIMO e detti.
Temolo.(Oh avventura grande, oh fortuna ottima!
Come tanta paura e tanta orribile
Tempesta in sì sicura ed in sì placida
Quïete hai rivoltato così subito!)
Abbondio.Perchè è costui sì allegro?
Temolo. (Dove correre.
Dove volar debb’io, per trovar Cintio?)
Abbondio.Ch’esser può questo?
Camillo. Io non so.
Temolo. (Ch’io gli annunzii
Il maggior gaudio, la maggior letizia,
Ch’avesse mai.)
Abbondio. Che fia?
Temolo. (La sua Lavinia
Ritrovano esser figliuola di Massimo.)
Camillo.L’avete inteso?
Abbondio. Sì.
Camillo. Come può essere?
Temolo.(Ma che cess’io d’andare a trovar Cintio?)
Abbondio.Moglie non ebbe egli giammai, ch’io sappia.
Camillo.S’hanno figliuoli anco dell’altre femmine
Che non son mogli.
Abbondio. Eccoci a lui, che intendere
Ci farà il tutto.
Camillo. Trovate voi. Massimo,
Ch’io sia bugiardo?
Massimo. Non, per dio.
Abbondio. Chiariteci.
Che figlia è questa vostra, che ci ha Temolo
Detto, ch’avete trovato?
Massimo. Diròvvelo,