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416 | il negromante. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:426|3|0]]
Di bocca; e a voi, che mi sête sì intrinseco,
Non lo dissi pur mai; chè troppo biasimo
Riputava aver moglie e non intendere
Dov’ella fosse. Altri parecchi indicii
N’ho senza questo. Una corona d’ebano
Riconosciuta l’ho al collo, e mostratemi
Ella ha poi collanucce, anella e simili
Cose che fûr di sua madre, e donatele
Avéa. Oh che! volete altra pruova? Eccovi
La metà dell’anello che partendomi
A Placidia lasciai. Questo è bastevole
Quando non ci fusse altro: ma la effigie
C’ha della matre, ancor più mi certifica.
Abbondio.Ch’è della madre? ve ne sa ella rendere
Conto?
Massimo. Sì ben; ma più quegli altri dicono:
Che, tornando la madre ver’ Calabria,
S’era infermata a Fiorenza, ove Fazio
L’avéa alloggiata; e v’era giunta al termine
De’ suoi affanni, e lasciò lor la picciola
Fanciulla; ed essi poi se l’allevarono
Come figliuola, chè altra non avevano;
E le levaro il nome, ch’era Ippolita,
E la chiamaron Lavinia, in memoria
D’una lor, credo m’abbiano detto, avola.
Abbondio.Son de’ vostri contenti contentissimo.
Camillo.Ed io similemente.
Massimo. Vi ringrazio.
Camillo.Noi che faremo?
Abbondio. A tuo piacere Emilia
Potrai sposare.
Camillo. E perchè non concludere
Ora quel che s’ha a far?
Massimo. Ben dice, sposila
Ora.
Abbondio. Sposila: andiamo.
Camillo. Andiam, di grazia.