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atto quarto. — sc. ii. 35

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Volpino.     Era morto, aimè! ma ora...

Crisobolo.     Ch’è stato fatto?

Volpino.     Ritorno vivo.

Crisobolo.     Dimmi insomma, che ci è?

Volpino.     Il tuo Nebbia...

Crisobolo.     Che ha fatto?

Volpino.     Quel ladro, quell’imbriaco...

Crisobolo.     Che cosa ha fatto?

Volpino.     Appena posso trarre il fiato, tanto son tutto oggi corso di giù e di su.

Crisobolo.     Di’a una parola che ha fatto?

Volpino.     T’ha ruinato per sua sciocchezza.

Crisobolo.     Finiscimi d’uccidere; non mi tener più in agonia.

Volpino.     Ha lasciato rubare...

Crisobolo.     Che?

Volpino.     Della tua camera propria, di quella ove tu dormi...

Crisobolo.     Che cosa?

Volpino.     Di che a lui solo hai date le chiavi, e tanto glie le raccomandasti...

Crisobolo.     Che ha lasciato rubare?

Volpino.     Quella cassa, che tu...

Crisobolo.     Qual cassa, ch’io...?

Volpino.     Che per la lite che è tra Aristandro e... come ha nome?

Crisobolo.     La cassa che io ho in deposito?

Volpino.     Non l’hai, dico, chè è stata rubata.

Crisobolo.     Ah misero ed infelice Crisobolo! Lascia or cura della tua casa a questi gaglioffi, a questi poltroni, a questi impiccati! potevo non meno lasciarvi tanti asini.

Volpino.     Patron, se trovi la cucina mal in punto, di che hai lasciata a me la cura, gastigami, e fammi portar supplicio: ma della tua camera, che ho da far io?

Crisobolo.     Questa è la discrezion di Erofilo? questo è l’offizio d’un buon figliuolo? ha così pensiero, sollecitudine delle mie cose e sue?

Volpino.     A parlar per diritto, a torto ti corrucci con lui. E che diavol di colpa n’ha lui? Se gli lasciassi il maneggio e governo della tua casa, come fanno gli altri padri a’ lor figliuoli, e’ faría il debito, se ne piglierebbe lui cura, e forse n’anderebbon le tue cose meglio. Ma se più ti fidi d’un im-


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