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atto secondo. — sc. v. 451
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È innamorato. Facilmente accorgere
Te ne potrai.
Stanna.                      Ch’accade a voi d’intenderlo?
Bonifacio.Te lo dirò. Sappiam che ’l padre darglila
Vorrebbe, ed anco v’è inclinato Bartolo:
Ma se ’l parlar d’Eurialo avemo a credere,
Non par se ne contenti; e noi, per dirti la
Verità, mal gli crediamo. Tu studia
D’informarti del ver.
Stanna.                                  Senza altro studio,
So che non dice il vero, e son chiarissima
Che gli è come pensate. Insieme s’amano,
Ed è fra loro altro che ciance.
Claudio.                                                (Ah misero!
Posto avrò il dito nel vespajo.)
Stanna.                                                    E dicovi
Più; che la madre istessa è consapevole
Di questo amor. Ma, per dio, Bonifacio,
Non se ne parli: non fate che Eurialo
Sappia ch’io l’abbia detto, che espressissima-
mente m’ha comandato ch’io stia tacita,
E faccia in guisa che nè questo giovane
Nè voi possiate saper che ci siano.
Bonifacio.Non ero io qui nella via, quando vennero?
Non temer ch’egli il sappia. Ma che indizio
Hai tu che sia come ci affermi?
Claudio.                                                    (Ah misero!
Avrò cercato quel che rincrescevole
E nojoso mi fia di trovar.)
Stanna.                                           Dicovi,
Quando testè le donne in casa vennero,
Io mi trovai che tutta era di polvere
Piena, e brutta di fumo e di caligine,
Ch’avéa spazzato il cammino e la camera
Dove sono alloggiate; e, vergognandomi
Ritrarmi altrove, io corsi in la medesima
Stanza, dentro un scrittoio chiuso di tavole,
Per le quai, dove insieme si congiungono,
Si può guardar per le fissure, e vedesi
Ed ode ciô che si fa nella camera.
Ecco, stando quiv’io, venir Eurialo,
E poi le donne; l’ultimo era Accursio:


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