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atto terzo. — sc. iv. | 463 |
Facessi il resto, orator saresti ottimo.
Accursio.Non si troverà mai...
Riccio. Non puoi negarlomi;
Chè son stato alla nave che condottovi
Ha in questa terra, ed il nocchier narratomi
Ha il tutto.
Accursio. È ver che a Piacenza ci entrarono
Due donne in nave, una vecchia e una giovane,
Che son fin qua meco venute; e dicono
Che ritrovare alcun legno vorrebbono
Ch’andasse verso Ancona, chè disegnano
Di farsi poi condurre a Roma. Rendite
Certo che non son quelle che tu immagini.
Eurialo.Per dio, ’l nocchier dicea di queste! Toltole
Tu in cambio hai di quest’altre.
Accursio. Non puot’essere
Altrimenti.
Riccio. Fingetela e acconciatela
Come meglio vi par, a me sta a credere
Quel ch’io ne voglio. Ma, messer Eurialo,
Siate avvertito c’ho portate lettere
Al duca ed a molti altri gentil’uomini,
Che se in Ferrara saran queste femmine,
Non avrete possanza di nasconderle.
Accursio.Non sono quelle che ti pensi: vengono
Queste due da Turin. Se ’l ver mi dicono,
Sono madre e figliuola. Già partitesi
Credo sian, ch’aver fretta dimostravano
Di ritrovarsi in Roma, dove intendono
Che ’l sangue degli Apostoli e de’ Martiri
È molto dolce, e a lor spese è un bel vivere.
Riccio.Non mi tôr con tue ciance di proposito.
Queste ch’io cerco son qui, e trovarannosi,
Credo, con vostro danno ed ignominia.
E se non fusse perchè messer Lazzaro
M’ha pregato ch’io non dia queste lettere
Fin ch’egli non sia qui...
Eurialo. Vien messer Lazzaro
In questa terra?
Riccio. A quest’ora a pentirvene
Stati, per dio, non sareste!
Eurialo. Rispondimi,