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78 i suppositi.

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Sanese.     Io li venivo ammonendo: sapranno simulare ottimamente.

Erostrato.     Con li miei di casa ancora simulate non meno che con gli altri; perchè li famigli ch’io ho, sono tutti di questa terra, nè mio padre nè Sicilia videro mai. Questa è la stanza nostra: entrâmo dentro.

Sanese.     Io vado innanzi.

Erostrato.     E così convien per ogni rispetto.

Dulipo.     Il principio è assai buono, pur che vi corrisponda il mezzo ed il fine. Ma non è questo il rivale e competitore mio Cleandro? O avarizia, o cecità degli uomini! che Damone, per non dotare una così gentile e costumata figliuola, pensi costui farsi genero, che gli sarebbe per etade conveniente sôcero! ed ama assai più la sua borsa, che quella de la figliuola, che per non scemare l’una di qualche fiorino, non si curerebbe che l’altra in perpetuo vôta rimanesse, salvo se non fa conto che questo vecchio le ponga dentro de li suoi doppioni. Deh misero me, che motteggio, e ne ho poca voglia!


SCENA III.

CARIONE, CLEANDRO, DULIPO.


Carione.     Che ora importuna è questa, padron mio, di venire per questa contrada? Non è banchiero in Ferrara che non sia ito a bere ormai.

Cleandro.     Venivo per vedere s’io trovavo Pasifilo, ch’io lo menassi a disinare meco.

Carione.     Quasi che sei bocche che in casa tua ci ritroviamo, e sette con la gatta, non siamo a mangiare sufficienti un luccietto d’una libbra e mezza, ed una pentola di ceci e venti sparagi, che, senza più, sono per pascere te e la tua famiglia apparecchiati.

Cleandro.     Credi tu che ti debba mancare, lupaccio?

Dulipo.     (Non debb’io sojare un poco questo barbagianni?)

Carione.     Non sarebbe la prima fiata.

Dulipo.     (Che gli dirò?)

Carione.     Pur io non dico per questo, ma perchè la famiglia starà a disagio; nè Pasifilo remarrà satollo, chè mangiarebbe te, con la pelle e l’ossa de la tua mula insieme.

Cleandro.     Perchè non la carne ancora?

Carione.     E dove ha ella carne?


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