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Progresso e Felicità 225

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Invece chi mi ascolta più incredulo conceda che se si conformasse alla legge onde mi parve intravvedere il disegno nel tessuto dei fatti umani, se consacrasse affetti e opere al bene delle generazioni avvenire, qualunque fosse la sua fede, purchè intera, qualunque fosse il suo ideale, purchè di creduta e amata bellezza, ne avrebbe in premio una profonda e tenace felicità.

Ma qui una stridente risata di scherno mi suona in faccia, lo spettro velato di nero è ancora davanti a me. «Hai finito» mi dice «di promettere felicità? Ebbene, guardami, io sono la Morte, la tua, quella de’ tuoi, dei parenti, degli amici, di tutti. Io sono il Dolore che non si placa, io sono il Terrore che non si fuga. Ciò che hai promesso appartiene a me, poichè su tutto che tu chiami felicità e gioia io stendo la mia nera invincibile ombra. Devozione all’avvenire? E sia! L’avvenire sono io».

Permettetemi che gli risponda.

No, tu non sei l’avvenire. Tu non potresti gittare ombra sopra di noi se al di là della tua squallida figura non vi fosse una Luce. Dell’avvenire tu non altro sei che la scura porta, Le migliori gioie che io promisi non appartengono a te, sono inaccessibili all’ombra tua. Nell’uomo devoto alle generazioni venture l’ombra tua si


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