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IL BANDELLO

al reverendo e dotto

messer

stefano dolcino


Ebbi dal servidor vostro, essendo in casa di monsignor lo protonotario da la Torre, i vostri numerosi e dotti endecasillabi, cantati da voi de la beltá, amenitá e bellissimo sito del famoso lago di Garda, chiamato dagli scrittori Benaco. Io, essendo a casa ritornato, tutti prima che di mano m’uscissero gli lessi e, come si suol dire, in una volta d’occhi tutti piú tosto furono da me inghiottiti che masticati, e nondimeno molto mi piacquero. Poi con piú agio ripigliatogli, cominciai a leggergli e di passo in passo, a la meglio ch’io sapeva, a gustargli. Dio buono, quanto mi sodisfecero, quanto mi dilettarono! Ma a chi non piacerebbero eglino, essendo dolci, rotondi, soavi e numerosi? Non è persona che abbia lustrati quei luoghi e navigato il lago, che leggendo il vostro ingegnoso poema non si creda d’esser in quelle contrade a diporto, cosí al pescare come a tender le reti e lacci e il vischio ai semplici augelli. Che dirò poi di quel divino e veramente poetico epigramma, che voi essendo ne l’andina villa che oggi Pietole si chiama, patria del nostro gran poeta Vergilio, su le rive del lago che circonda ed abbraccia Mantova, si felicemente componeste? Perché non ho io quella vostra incessabile, candida, latina e si dolce vena che si facile e dotta in voi scaturisce, a ciò che di voi tanto cantar potessi quanto meritate? Felice voi che volete e potete quanto v’aggrada comporre cose ottime, che dopo la morte vi terranno chiaro e famoso in vita e vi diffenderanno, fin che il mondo duri, da la edacitá e pungenti morsi del vorace tempo!

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