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l'ARTE TERZA chiuso l’uscio de la camera, si gittò a traverso una panca con le natiche scoperte e gli disse: — Naldello — ché tale era il nome del chierico, — piglia quello staffile che è su la tavola, e dammi venticinque buone staffilate sul culo, e non aver rispetto veruno. — 11 chierico, veduto scoperto il culiseo di Roma, gli domandò che cosa era questa. Egli altro non rispose se non: — Dammi, dammi, ti dico, e non cercar altro. — Il chierico a questo, sentendo la determinata volontà del padrone, gli diede venticinque buone sferzate con pesante mano, a misura, come si dice, di carbone, di maniera che il culiseo aveva molti segni sanguigni. Avute le brave staffilate, il prete si levò suso e con voce pietosa disse: — Figliuolo, non ti meravigliare se io ho voluto che tu mi sferzi, ché io ho commesso un grandissimo errore, che meritava molto maggior castigo di quello che dato m’hai. — E narrò al chierico la perdita del doppio ducato. Come il giovine senti la pazzia del messere, se gli rivolse con il più brutto viso che puoté e disse: — Oimè, che sento ! che vi vengano tremila cacasangui ! E ch’avete voi voluto fare, uomo da poco e da meno assai ch’io non dico? Voi adunque avete restituito un doppione perché non era cosi di peso come la vostra avara ingordigia arebbe voluto, avendolo voi guadagnato col far un segno di croce in capo ad una femina? Che vi venga il gavocciolo! e forse che non l’avevate venduto zafferano? Al corpo che io non vo’ ora dire, se al principio io avessi questa cosa saputa, io ve ne dava un centinaio con la fibbia de lo staffile. Andate, andate, ché non sapete vivere. — E cosi il povero prete restò con le sferzate e con le beffe.