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parti; terza scritto gli scrittori de le memorie antiche e là da tutti s’afferma. Era quivi ai servigi di monsignore riverendissimo vescovo de la città uno chiamato Bigolino calabrese, il più sollazzevol uomo ed allegro che in quelle contrade si ritrovasse. Egli fingeva con la sua voce ora il ragghiar de l’asino, ora l’annitrire dei cavalli ed ora la voce di questo animale ed ora di quell’altro. Medesimamente erano pochi augelli dei quali egli la voce e il canto non contrafacesse, di maniera che a tutti i reggini egli era carissimo. Passavano poi poche settimane che egli qualche piacevolezza non facesse, in modo che sempre di lui ci era da ragionare. Aveva servito in diversi luoghi vari padroni e ultimamente s’era ridutto col detto vescovo, col quale essendo stato alcuni di e conosciuto che, da mangiar e bere in fuori ed esser due fiate l'anno vestito, altro profitto non ne traeva, si deliberò al padrone far una beffa, e il tutto communicò con un altro servidore suo compagno. Ed avendo deliberato quanto fare intendeva, andò un giorno a la stalla e montò suso un cavallo che nuovamente il vescovo aveva fatto cavare de la razza, che era rabbioso e restio. Egli, come spesso soleva, lo menò fuor de la città, ove si facevano certi cavamenti per asciugare alcuni campi che erano molto soggetti a l’acqua. Quivi cominciò a cacciar il poliedro nel mezzo del fango e terreno molle che i cavatori cavavano, e con gli sproni nei fianchi del cavallo lo faceva indiavolare, di modo che tutti dui, avviluppati ed impaniati nel fango, caddero per terra alquanto lontano dai cavatori. I quali correndo là, cominciarono a gridare: — Aita, aita ! — e trovarono Bigolino tutto infangato, che gettava sangue da la bocca e più né meno si moveva come se fosse stato morto. Credettero quelli cavatori che il cavallo avesse tutto pesto il misero Bigolino, e levatolo fuor del fango lo posero sovra una bara e lo portarono al vescovado con generai compassione di tutti i reggini, perciò che per le sue piacevolezze era da tutti amato. Egli, mentre lo portavano, lasciava spesso uscire qualche gocciola di sangue da la bocca. Il vescovo, che molto amava Bigolino, udendo il caso, si turbò forte e, fattolo porre in una camera, mandò subito per il medico. Il compagno di Bigolino