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NOVELLA XXXVI
347 lo vede far qualche cosa sgarbatamente. Vi dico adunque: dessiderando il re sapere di quanto numero d’uomini ne la città di Parigi si poteria prevalere che portassero arme, volle che tutti facessero la mostra armati, chi a piedi, chi a cavallo. E di questa mostra diede la commissione al Bai va, che ancora non era cardinale, ma solamente vescovo. Il che sentendo monsignor di Cabannes, gran maestro di Franza, se ne turbò forte, conoscendo che questo non era ufficio di vescovo. Tuttavia non volle contradire al re né dirgli che non istesse bene ciò che egli faceva. Ma accostatosi a lui, riverentemente gli disse: — Sere, io vi supplico umilissimamente che sia di vostro piacere di farmi una grazia, che a me sarà di grandissimo contento. — E che cosa volete voi — rispose il re — che io vi faccia? — Io vi supplico — soggiunse il gran maestro — che voi degnate darmi commessione che io vada al vescovado che è di monsignor Balva, a riformare i suoi canonici e visitarli. — Come può esser questo? — disse il re. — La commissione non sarebbe propria né a voi convenevole, ché non istà bene che un secolare non sacro emendi le persone ecclesiastiche. — Si, sarà — rispose il gran maestro — cosi propria e conveniente a me, come è quella che voi commessa avete al vescovo, che vada a far la mostra ed ordinare le genti d’arme. — Piacque al re l’arguzia e rivocò la commissione. Ché forse, quando monsignor di Cabannes avesse detto: — Sire, cotesto non istà bene; voi noi devete fare: mandateci un commissario de le mostre, — o simil’altre parole, il re, che era capriccioso, si sarebbe adirato e averebbe voluto che la commissione data al vescovo si fosse essequita. '