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NOVELLA XLIV

393 di tanti uomini e donne restò tanto calda e ardente che, finita la predica, che era durata, avendo predicato dopo desinare, fin quasi a le ventidtie ore, con grandissima diflicultà i frati dissero vespro e la compieta insieme. Il sagrestano, che era persona discreta ed avveduta, per disfogare la chiesa aperse tutte le finestre che ci sono e gli usci, e stette più tardi che puoté a serrar la porta grande d'essa chiesa. E tanto più che quella sera medesima bisognò nel cominciar de la notte sepellirvi un reo uomo di molto trista fama, e del quale s'era detto per lutto che il diavolo gli era visibilmente apparito ne la sua infermità, e ciascuno credeva che devesse esser portato via in anima e in corpo. Finite l’essequie di questo reo uomo, il sagrestano, fermata la porta grande de la chiesa, lasciò aperta quella che ha l’adito nel primo chiostro, a ciò che la notte meglio la chiesa si rinfrescasse. Era quella stessa sera venuto un frate che aveva predicato in montagna, ed aveva le sue cosucce portate suso un asinelio nero come pece, e l’aveva riposto in una stalletta. Il quale asino, dopo che tutti furono a dormire, non so come, si parti da la stalla e andò dentro il chiostro, ove l'erbetta era tenera e grassa, e quivi stette buona pezza, pascendo l’erbette d’esso chiostro. Dopoi, avendo forse sete, andò per tutto fiutando e s’avvenne al vaso de l’acqua benedetta, la quale tutta si bebbe, come poi il di seguente i frati s’avvidero. Pasciuto che fu e cavatasi la sete, andò su la sepoltura del reo uomo sepellito la sera innanzi, che tutta era coperta d'arena, e quivi più volte aggirandosi, si distese per riposarsi. È consuetudine che sonato il matutino, i novizi se ne vanno al coro e quivi apprestano le candele e libri per cantar l’ufficio. Andarono dunque a l’ora del matutino duo giovinetti per preparar ciò che era bisogno, e passati per la sagrestia, ne l’uscir di quella per andar al coro, videro messer l’asino disteso su la sepoltura, con gli occhi ch’assembravano duo gran carboni ardenti, e due orecchiacce lunghe che proprio rappresentavano duo corna. Le tenebre, fomento ed aita del timore, il sepellito frescamente in quel luogo, col vedervi sù quella orribile, a quella ora, bestia, levarono di sorte il giudizio

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