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IL BANDELLO

al gentilissimo messer

giacomo filippo sacco

dottore


Erano non è molto adunati a Pavia in casa del vertuoso e dottrinato messer Antonio di Pirro alcuni giovini scolari che quivi avevano desinato, e ragionandosi dopo desinare di varie cose, si venne a dire d’alcune parole che il Monarca, buffone dei signori di Beccaria, quella matina aveva detto ne la chiesa del Carmino, per far favore al signor Tomaso Maino ed al signor Lucio Scipione Attellano, che per la chiesa dinanzi a le loro innamorate passeggiavano. Ed in effetto si conchiuse che erano state troppo disoneste e indegne che di loro nessuno gentile spirto parlasse; ma che, essendo il Monarca pazzo publico, meraviglia non era se da pazzerone aveva parlato. Onde messer Antonio disse che i motti e le risposte pronte dette a tempo e luogo conveniente, rintuzzando gli altrui detti o con debito morso riprendendo gli altrui vizi con qualche bella coperta di parole, erano meravigliosamente da esser lodati. Né meno giudicava esser lodevoli quelle risposte, le quali con pronto avvedimento, senza morder nessuno, argutamente ribattevano, quando talora alcuno si sentiva mordere. Ed a questo proposito disse che il re di Francia Lodovico undecimo, veggendo un giorno il vescovo di Catres, che anticamente si dicevano carnuti, che era su una bellissima mula guarnita di velluto, col morso e borchie dorate, lo chiamò dicendogli: — Monsignor, i vescovi santi al tempo passato non andavano con queste pompe, ma si contentavano d’andar suso un asinelio, con la cavezza di corda, senza briglia né sella. — Il vescovo alora, punto non sbigottito, M. Bandello, Novelle.

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