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2 parte seconda

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NOVELLA XLV

Giocosa astuzia di don Bassano a liberarsi dal suo vescovo che lo voleva incarcerare per praticar con le monache.


Fu non è molto tempo in una cittá di Lombardia un vescovo, il quale era santissimo uomo, e sarebbe stato ancora piú santo se fosse stato castrato, ché in effetto nel fatto de le donne era pur troppo ingordo, volendole tutte per sé né permettendo che i poverelli preti potessero guardarle, non che darsi piacer con loro. Visitando adunque alcuni monasteri de la cittá, trovò in uno di quelli una badessa che molto gli piacque, e con lei si domesticò pur assai, e in tal modo fu la domestichezza che non si finí la visita che messer lo vescovo e monna badessa divennero divoti insieme. Era nel monastero una monaca giovane, la quale aveva un suo prete per innamorato che era canonico in una chiesa collegiata di quella cittá, e tutto il dí praticava al monastero, parlando di continovo con la sua divota. Questa pratica punto non piaceva a la badessa, ma perché la monaca era de le principali gentildonne de la cittá, non la poteva cosí regolare come averebbe voluto; tuttavia non cessava ogni dí di proverbiarla, garrirla e dirle parole assai. La monaca tanto si curava del dire de la badessa quanto de la prima cuffia che mai si mise in capo. Ora avendo la badessa fatta la nuova amicizia con monsignor lo vescovo, gli domandò di grazia che volesse castigar don Bassano canonico e vietargli che non praticasse al monastero. Il vescovo, desideroso di compiacerle, fece una scommunica e vietò che nessun prete, di qual condizione si fosse, potesse senza sua particolar licenza praticar a qual si sia monastero di monache, e ottenne dal governatore che a nome del duca di Milano governava quella cittá, che in conformitá de l’escommunica facesse un severissimo editto con publica grida; il che fu fatto. Per questo non restava il canonico, stimolato da l’amore, di praticar al monastero; ma facendo le cose sue meno che prudentemente ed avendo la badessa di continovo le

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