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PARTE SECONDA fine la moglie ed anco che quanto la vita propria Antioco gli era carissimo; onde cosi gli disse: — Seleuco, tuo figliuolo è grandissimamente infermo e, che peggio mi pare, io giudico l’infermità sua esser incurabile. — A questa voce cominciò il dolente padre, piangendo, a far un pietoso lamento ed amaramente de la fortuna querelarsi. Soggiunse alora il medico: — Io vo', signor mio, che tu intenda la cagione del suo male. Hai adunque a sapere che il morbo che il tuo figliuolo ti ruba è amore, e amore di tal donna, la quale non potendo avere, senza dubio egli morrà. — Oimè! — tuttavia forte piangendo disse il re; — e che donna è questa che io, che re d’Asia sono, non possa con preghiere, danari, doni e con qual arte si voglia, ai piaceri di mio figliuolo render pieghevole? Dimmi pure il nome de la donna, perciò che per la salute di mio figliuolo io sono per metterci ogni mio avere e tutto il reame ancora, quando altamente far non si possa. Ché se egli more, che voglio io fare del regno? — A questo Erasistrato rispondendo disse:—Vedi, re, il tuo Antioco è fieramente de la mia donna innamorato; ma parendogli questo amore esser disconvenevole, non è mai stato oso manifestarlo e per vergogna più tosto elegge morire che scoprirsi. Ma io per evidentissimi segni avvisto me ne sono. — Come Seleuco udì queste parole: — Adunque — disse — tu che sei quell’uomo cui pochi di bontade parangonar si ponno e meco sei d’amore e benevoglienza congiuntissimo e porti nome d’esser di prudenza albergo, il mio figliuolo, giovine che ora, sul fiore de la giovinezza, è de la vita dignissimo e a cui di tutta l’Asia l’imperio meritevolmente è riserbato, non salverai? Tu, Erasistrato, il figliuolo di Seleuco amico tuo e tuo re, che amando e tacendo a morte corre, e il quale vedi che di tanta modestia ed onestà è che in questo ultimo e dubioso passo più tosto di morire elegge che in parte alcuna, parlando, offenderti, non aiuterai? Questa sua taciturnità, questa discrezione, questa sua riverenza che egli ti mostra deve piegarti ad avergli compassione. Pensa, Erasistrato mio, che se egli ardentemente ama, che ad amare è sforzato, perciò che indubitatamente se egli non potesse amare, farebbe il tutto per non amare, e farebbe più

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