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a questo, egli era forte innamorato, ne la contrada di san Rafaele per riscontro a la chiesa maggiore, d’una bella giovane, che teneva cuffie, balzi, cordelle, gorgiere ed altri ornamenti da donna, da vendere. Il che la donna aveva inteso da una sua commare. Per il che divenutane fieramente sdegnata, deliberava render il contracambio al suo marito. Onde, parendole che Lattanzio fosse a proposito, gli faceva di giorno in giorno meglior viso. Di che l’amante si teneva per sodisfatto assai. La commare, che de l’amore del marito aveva avvertita la donna, era d’albergo assai vicina a quella, e non aveva in casa altra famiglia che un picciolo figliuolo di dui anni ed una fanticella. Perseverando adunque Lattanzio in vagheggiar Caterina ed avendole più volte sopra le feste parlato, ella, un dì che il marito era a desinare altrove, fece chiamar la sua commare e volle che seco desinasse come molte fiate era solita di fare. Poi che si fu desinato e che le maschere cominciarono per la contrada passare, Caterina con la compagna si mise a una finestra a ragionare. Non erano dimorate quivi molto, che passarono molte maschere, con una de le quali ragionando, passò Lattanzio suso una mula, ma senza maschera, il quale veggendo la sua donna a la finestra le fece onestamente con la berretta in mano riverenza. Come egli fu passato, così subito disse Caterina: – Commare, conoscete voi quel giovine che passa parlando con quella maschera? – Non io, – le rispose la commare; – ma perchè me ne chiedete voi? – Io ve lo dirò, – soggiunse quella, – essendo certissima che voi mi crederete, e che quanto vi manifesterò terrete secreto appo voi, come vederete che il caso mio ricerca. Devete ricordarvi che molte fiate vosco mi sono domesticamente lamentata de la strana vita che tiene il mio marito, chè essendo circa a sette anni che io venni in questa sua casa, dal primo anno in fuori che io non ci poneva mente, egli mai non è stato che non abbia avuto qualche innamorata con la quale egli spende gran parte de le sue rendite. Ora egli è tutto il dì ne la contrada di santo Rafaele con Isabella, che so che conoscete, a la quale questo passato Natale donò di buona mano trentasette braccia di raso morello veneziano. Egli ed io ne abbiamo avuto insieme più volte di sconcie parole, ma niente m’è giovato, di modo che io mi trovo bene spesso di malissima voglia, veggendo questa sua cattiva vita che tiene. Misera me, chè io poteva esser maritata in un conte dei Languschi in Pavia, e i miei fratelli volsero pure che io fossi di questo reo uomo. Quanto egli ha di buono, è che mi dà gran libertà del vestire e d’andare ove io voglio, e del governo de la casa

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