< Pagina:Bandello - Novelle. 1, 1853.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

e quelli che interpellatamente si gustano. Restami, signor mio, a dirti che le tante vittorie che i tuoi maggiori hanno avute e l’acquisto che tu di questo imperio greco hai fatto, sono nulla, se tu non le mantieni ed accresci, perciò che minor vertù non è l’acquistare che il saper conservare le cose acquistate. Vince, vince, signor mio, te stesso, e vincerai tutto il resto. Ti supplico adunque, se cosa da me ti è stata detta che l’animo tuo offenda, che tu meco usando de la tua clemenza mi perdoni, e pensi che la mia servitù e il zelo de l’onor tuo e de la tua salute a questo m’ha spinto. Ti assecuro bene e santamente giurar ti posso, che io non ho detto cosa alcuna se non per giovarti. A te ora sta a far tutto quello che ti pare che sia di tuo profitto. – Si tacque dopo questo Mustafà, attendendo ciò che il suo signore devesse fare. Poi che Maometto vide il suo schiavo tacere, stette alquanto senza dir una parola, varie cose tra sè rivolgendo e nel suo viso sensibilmente mostrando la fluttuazione e contrasto che ne l’animo aveva, di modo che Mustafà assai dubitò de la vita. Avevano le parole sue amarissimamente trafitto la mente de l’imperadore, il quale tanto più punto e trafitto si sentiva, quanto che gli pareva che Mustafà gli avesse detto il vero e parlato da fedelissimo servidore. Da l’altra parte poi era sì irretito nei lacci del dissordinato diletto che da la pratica de la bella greca pigliava, che si sentiva aprir il cor nel petto ogni volta che s’imaginava di deverla lasciare, o vero pur un dì da lei allontanarsi. Ultimamente non sapendo provedere a’ casi suoi senza il danno de la sfortunata greca, e ne l’animo suo stabilito ciò che intendeva di fare, con buon viso a Mustafà rivoltato gli disse: – Grande è stata, Mustafà, l’audacia tua a parlarmi in questo modo che parlato mi hai; ma vagliati l’esser stato nodrito meco e l’averti sempre conosciuto verso di me fedelissimo. Conosco anco che mi hai detto il vero, e in breve farò che tu e tutti gli altri vederete che io so vincer me stesso. Va, e fa che dimane tutti i bascià e i principali de la mia milizia si ritrovino a mezzodì ne la tal sala del mio palazzo. – Detto questo, l’imperadore andò a trovar la greca e seco se ne stette tutto quel dì e la seguente notte. E per quello che egli poi disse, con la greca si prese più di piacere che mai fatto avesse, e il dì seguente desinò con lei e volle che dopo desinare ella si mettesse i vestimenti ricchissimi e gemme preziosissime più che mai s’avesse messo. Il che ella fece, non sapendo la miserella che apparecchiava i suoi funerali. Da l’altra banda Mustafà, non sapendo l’animo del suo padrone, venuta l’ora, congregò tutti i principali de la corte in sala, meravigliandosi

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.