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non sapendo de l’altro videro che là s’era fermato, e credendo di fermo ciascuno che per la sua moglie ci fosse venuto, che uscirono fuori ed in mezzo il presero e l’ammazzarono. E questa confessione fecero appartatamente, secondo che insieme s’erano convenuti. Al fatto poi de l’esser stati trovati l’uno in casa de l’altro, dissero certa favola non troppo ben ordita, ne la quale si contradicevano. Tutte queste cose il duce avendo intese, restava d’estrema meraviglia ripieno, nè sapeva al vero del tutto apporsi. Onde essendo secondo il solito raunato il conseglio dei Dieci con gli aggiunti, dopo che il tutto che vi si trattò fu finito, il sagacissimo prencipe, uomo di elevato ingegno e che per tutti i gradi dei magistrati era al prencipato asceso, volendosi ciascuno partire, disse: – Signori, egli ci resta a trattar una cosa, de la quale forse mai più non si sentì parlare. Dinanzi a noi sono due querele, il fine de le quali, per mio giudicio, sarà molto diverso da l’openion di molti. Anselmo Barbadico e Girolamo Bembo, tra i quali è sempre stata crudel nemicizia, lasciata loro dai padri d’essi quasi ereditaria, l’uno in casa de l’altro mezzi ignudi sono stati dai nostri sergenti fatti prigioni, e senza tormento o pur paura d’esser torturati, ad una semplice interrogazione dei nostri ministri, liberamente hanno confessato che dinanzi le case loro Aloise nostro nipote hanno ammazzato. E quantunque esso nostro nipote viva e non sia stato nè da loro nè da altri ferito, essi però micidiali si confessano. E chi sa come stia questo fatto? Nostro nipote poi ha detto che, andando per rubar la casa di madonna Gismonda Mora ed ammazzar chi gli avesse voluto far contesa, è da le finestre in terra caduto. Il perchè, essendosi molti latrocinii per la città nostra scoperti, si potria di leggero presumere che egli ne fosse stato il malfattore. E così si deveria con tormenti la verità da lui intendere, e trovandosi reo dargliene quel severo castigo che merita. Ora quando egli fu trovato, nè scala seco nè arme di sorte alcuna aveva, onde si può pensare che il fatto stia altrimenti. E perchè tra le morali vertù la temperanza sempre è stata di grandissima lode da tutti commendata, e la giustizia se giustamente non è essercitata diventa ingiustizia, a noi par giusto che in questo caso di questi strani accidenti, più temperanza che rigore di giustizia usar si debbia. Ed a ciò che non paia ch’io parli senza fondamento, attendete quanto io vi dico. Questi dui mortalissimi nemici confessano ciò ch’esser a verun modo non puote, perciò che nostro nipote, come già s’è detto, vive, e la piaga che ha non è di ferro, come anco egli ha confessato.

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