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amore e darci buon tempo. – Era questa camera una prigione fortissima, che fatta fu anticamente a posta per tenervi entro alcuno gentiluomo che non si volesse far morire, ma tenerlo incarcerato fin che vivesse. Il barone, avuta questa così al parer suo buona risposta, si tenne per il più contento e aventuroso uomo del mondo e non averia voluto acquistar un reame. Onde, ringraziata quanto più seppe e puotè la donna, si partì e ritornò al suo albergo, pieno di tanta gioia e tanto lieto che non capeva nel cuoio. Il dì seguente, come fu venuta l’ora, il barone andò al castello, e non vi ritrovando persona entrò dentro, e secondo l’ammaestramento de la donna andò di lungo a la camera, e quella trovata aperta, come fu entrato spinse l’uscio al muro, che da se stesso si serrò. Era l’uscio di modo acconcio, che di dentro non si poteva senza la chiave aprire, e oltra questo aveva di fuori una fortissima serratura. La donna, che non molto lontana era in aguato, come sentì l’uscio essersi chiavato, uscì de la camera ove era, ed a la camera dentro a cui il barone stava arrivata, quella di fuori via serrò, e chiavata la serratura portò seco la chiave. Era quella camera, come s’è detto, ne la torre maestra, e in essa aveva un letto assai ben in ordine: la finestra che a quella dava il lume era di modo alta, che senza scala non vi si poteva uomo affacciare; del resto era assai accomodata per una onesta prigione. Quivi entrato che fu, il signor Alberto si pose a sedere, attendendo, come i giudei fanno il Messia, che la donna, secondo che detto gli aveva, venisse a visitarlo, e mentre stava in questa aspettazione e mille chimere tuttavia faceva, ecco che sentì aprirsi un picciolo portello che era ne l’uscio di essa camera, il quale era tanto picciolo che a pena bastava a porgervi per entro un pane ed un bicchiero di vino, come si suol porgere ai prigionieri. Egli, che credeva che fosse la sua donna che venisse a vederlo e donargli il suo amore, si levò, e levandosi senti una voce di donzella, che dal bucolino così gli disse: – Signor Alberto, mia padrona, la signora Barbera, – chè tale era il nome de la donna del castello, – vi manda per me a dire che, essendo voi venuto a questo suo luogo per rubarle il suo onore, che come ladrone vi ha impregionato e intende di farvi portar quella penitenza che le parrà convenevole, e che il peccato vostro merita. Pertanto, mentre che costà dentro voi starete, volendo mangiar e bere, egli sarà forza che voi ve lo guadagnate con il filare, come fanno le povere donne per sostenimento de la vita loro. Bene vi assicuro che, quanto più di filo filarete, tanto i cibi vostri saranno meglio conditi e in più copia. Altrimenti

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