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la sua bella imagine, la quale sempre ritrovava d’un tenore, bella e colorita. S’era già infinite volte avvertito da alcuni come il cavalier boemo mille fiate il dì apriva la borsa e, cavatone un picciolo scatolino, intentamente ciò che dentro vi era risguardava, e poi chiusolo il riponeva ne la scarsella. Onde essendo da molti domandato che cosa ella si fosse, a persona non l’aveva voluto palesar già mai. Nè mai pertanto vi fu chi al vero s’apponessi. E chi, per Dio, averebbe mai così fatto incantesimo imaginato? Tuttavia, oltra gli altri, il re e la reina volentieri averebbero inteso che faccenda fosse quella che il cavalier boemo tanto intentamente e così spesso contemplava; nondimeno non parve loro di cotal fatto chiedergli la cagione. Era già passato più d’un mese e mezzo che il signor Alberto era da la corte partito e divenuto castellano e fatto gran filatore. Onde, veggendo il signor Uladislao che, secondo che tra loro si era convenuto, il signor Alberto non gli mandava nè messo nè ambasciata come a lui il fatto fosse successo, stava in gran pensiero di ciò che far devesse, varie cose tra se stesso più volte imaginando. Cadutogli poi ne l’animo che il compagno felicemente al fine de l’impresa fosse pervenuto ed avesse colto il desiato frutto da la donna, e che, immerso ne l’ampio e cupo pelago dei suoi piaceri, si fosse l’ordine preso smenticato e non si curasse di dargliene avviso, deliberò mettersi in camino e tentar anch’egli la sua fortuna. Pertanto, non dando molto indugio a l’essecuzione del suo pensiero, ordinò tutto quello che gli parve necessario per questo viaggio, e montato con dui famigli a cavallo, si mise a cavalcare verso Boemia, e tanto di giorno in giorno caminò, che pervenne al castello ove la bella ed onestissima donna dimorava. E sceso a l’ostello ove anco il signor Alberto s’era da prima alloggiato e di lui diligentemente spiando, intese quello molti dì innanzi essersi partito. Del che forte meravigliandosi non sapeva che cosa del fatto di quello imaginarsi. E il tutto se non come in effetto era pensando, propose di mettersi a la prova di quello per cui d’Ongaria s’era partito. Investigando poi de le maniere de la donna, quello ne intese che per quella contrada era publica voce e fama, cioè che ella senza pari si predicava esser gentile, saggia, avvenevole ed onestissima. Fu subito la donna avvertita del giunger del barone, e sapendo la cagione per cui veniva, seco stessa deliberò pagare anco costui di quella moneta ch’egli andava ricercando. Essendo adunque il barone ongaro il giorno seguente andato al castello, fece dire che voleva la signora di quello, venendo da la corte del re Mattia, visitare e farle

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